HO UNA FIGLIA, DI OTTO MESI IN ATTESA DI TRAPIANTO DI FEGATO POTREI DONARLE PARTE DEL MIO?

 


01 luglio 2018 

Risponde Jean de Ville de Goyet Direttore Dip. Pediatria cura e studio patologie addominali e dei trapianti addominali, IRCCS, ISMETT, Palermo.

Sono madre di una bimba di 8 mesi cui è stata diagnostica un’atresia delle vie biliari. Ha già subito un intervento al fegato, ma sta sempre peggio. I medici dicono che solo un trapianto di fegato potrebbe farla guarire ed è in lista d’attesa. Generalmente i tempi di attesa sono di qualche mese ma ovviamente non c’è certezza. Ho sentito dire che è possibile che io le doni una parte del mio fegato ma non so come fare, qual è l’iter e quali sono i rischi?

L’atresia delle vie biliari è una malattia rara che rappresenta la prima causa di trapianto di fegato nei bambini. E una patologia che causa l’ostruzione dei dotti biliari in periodo neonatale e che può comportare in poco tempo un’insufficienza terminale epatica. Prima di ricorrere al trapianto è possibile intervenire chirurgicamente, ma quando la malattia è stata diagnosticata troppo tardi, o l’intervento non è andato a buon fine, il trapianto di fegato diventa la sola opzione possibile. In Italia la via maestra resta il trapianto da cadavere ma, quando le condizioni del piccolo tendono ad aggravarsi, è possibile la donazione da vivente. Oggi, in tutta Europa si eseguono circa 250 trapianti di fegato all’anno da vivente su bambini, di cui circa 15 in Italia.

Le moderne tecniche trapiantologiche sono sempre più sicure sia per chi dona, sia per chi riceve e consentono di avvicinare il successo di questo tipo di intervento al 100 per 100 in condizione elettiva, cioè con intervento programmato. Normalmente a donare una piccola parte del fegato è uno dei genitori. Per farlo è necessario rivolgersi a un Centro Trapianti dove è attivo un programma di trapianto di fegato pediatrico e viene offerta anche l’opzione del vivente. L’ISMETT di Palermo è una di queste ed è la prima in Italia ad avere iniziato un programma di trapianto pediatrico da vivente con attività regolare.

Una volta che il bambino è in lista d’attesa, il genitore che vuole donare viene sottoposto a esami clinico-diagnostici per verificare che sia compatibile e il suo fegato prelevabile. Prima di tutto però bisogna valutare gli stili .di vita e alcuni parametri generali di benessere. Ad esempio, chi fuma 10 o più sigarette non può donare, perché un intervento di chirurgia maggiore potrebbe metterlo a rischio. Non può essere donatore nemmeno una persona obesa. In entrambi i casi, si può intervenire per riequilibrare gli stili di vita. Seguendo, ad esempio, una rigida dieta che permetta di perdere peso o smettendo di fumare almeno un mese prima dell’intervento.

Per questo tipo di donazione il rischio di complicazioni è circa del 30%: la maggior parte delle complicazioni è comunque di lieve entità e si risolve autonomamente. In casi rari le complicazioni sono talmente gravi da richiedere un ulteriore intervento chirurgico o una procedura medica.

I candidati alla donazione sono anche informati del fatto che, come per tutti tipi di interventi maggiori, un rischio di mortalità per il donatore esiste, stimato, per la donazione di fegato sinistro, a 0,5 %. Nel caso in cui il paziente sia un bambino, la parte di fegato donata è la sinistra, la più piccola, una porzione che consente di trapiantare bambini da 6 a 25 chili. Si può intervenire anche su bambini con peso minore, in questo caso il volume del fegato prelevato è ancora più ridotto. La divisione di un fegato in due parti è possibile perché ciascuno dei due lobi, destro e sinistro, ha una propria vascolarizzazione arteriosa e venosa. Due équipe eseguono quasi contemporaneamente i due interventi (prelievo e trapianto). L’intervento di prelievo dura circa 4 ore e mezza, 6-7 quello di trapianto. Normalmente, dopo l’intervento il donatore può essere dimesso dopo circa 7 giorni di degenza, il bambino può lasciare l’ospedale circa 3 settimane dopo. I vantaggi per il bambino sono molteplici: essere trapiantati prima che le condizioni di salute subiscano un peggioramento che comporterebbe un rischio più elevato al momento del trapianto e anche un rischio maggiore di problemi dopo il trapianto. Il trapianto da vivente, inoltre, viene programmato e questo può essere un vantaggio importante per bambini con bisogni particolari (trattamento antibiotico, supporto nutrizionale, dipendenza da assistenza in ospedale) che possono usufruire della preparazione ottimale al trapianto nelle ultime settimane o giorni prima dell’intervento.

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