«Nostro figlio è rinato grazie a un gesto d’amore»

Trapianto per il bimbo di Porto Torres che aveva bisogno del latte speciale.
I genitori: «Adesso ha un futuro perché un donatore gli ha dato speranza»

 

 

5 maggio 2019 – di Paoletta Farina

 

 

SASSARI. Ricordate il piccolo Thomas, il bimbo di Porto Torres in attesa di trapianto di fegato che aveva bisogno di un costoso latte speciale faticosamente ottenuto dalla famiglia dopo una battaglia con l’Ats? Il bimbo ora è rinato: il 24 marzo scorso ha ricevuto un nuovo organo nel centro trapianti specializzato di Bergamo ed è ritornato a ridere e a essere euforico e vivacissimo come tutti i bambini della sua età. E a non aver più bisogno di quel latte che una burocrazia lenta e insensibile gli aveva negato nei suoi primi mesi di vita.

Quella vicenda è ora quasi dimenticata dal padre Alberto Carletti, ingegnere, e dalla madre Eleonora. Ora c’è da pensare al futuro di Thomas. E così come il papà aveva suscitato il caso sui social, questa volta è stata la mamma ad annunciare la nuova vita di Thomas in un post su Facebook condiviso dal marito. Sono parole struggenti che ripercorrono il dramma di genitori in apprensione per la salute del loro figlioletto, quasi un racconto liberatorio dopo il lungo periodo di attesa per il trapianto, e che lanciano anche un messaggio di gratitudine che va al di là della loro storia personale. Sono, infatti, un appello alla donazione perché grazie al gesto di un donatore Thomas e la sua famiglia possono sperare.

«Le 24 ore più difficili e interminabili della mia vita, impossibili da dimenticare – ha scritto su Fb la madre del bambino che ha compiuto otto mesi il 18 aprile scorso –. Un trapianto di fegato da affrontare e superare… e tu, piccolo grande Thomas, ci sei riuscito. Sei rinato, ma questa volta io non ho potuto fare niente, qualcun altro ti ha rimesso al mondo, qualcuno che ha voluto fare un gesto grande d’amore dando il consenso alla donazione degli organi – prosegue il post –. Non sapremo mai niente del donatore, probabilmente non conosceremo mai i suoi familiari, ma una cosa è certa, in qualunque istante in cui ti guarderò, penserò a chi ha reso possibile tutto questo. Ti insegnerò ad avere cura del dono prezioso che hai ricevuto,il più importante, tanto atteso e sospirato e a credere nella generosità delle persone, perché tu, grazie a loro, sei vivo. Tutti devono sapere che dare il consenso alla donazione degli organi, vuol dire dare speranza a chi aspetta il trapianto per poter rinascere».

Alberto ed Eleonora parlano del trapianto non come un punto d’arrivo, ma come un punto di partenza, e sono pronti ad affrontare questo lungo viaggio. Di strada da fare ce n’è ancora tanta. Il figlio è sempre a Bergamo con la mamma che da gennaio si è trasferita nella città lombarda in attesa di poter ricevere dall’ospedale la telefonata che annunciava la disponibilità di un fegato compatibile. Quella telefonata è arrivata il 23 marzo, Alberto Carletti, che era a Porto Torres con gli altri due figli, ha preso precipitosamente un aereo e per dieci ore è stato vicino alla moglie, condividendo con lei quella snervante attesa mentre il figlio era in sala operatoria. «Dopo l’intervento posso dire che Thomas stava bene – dice Alberto Carletti –, tanto che il giorno di Pasqua era stato dimesso, ma poi ci si è messo di mezzo un virus gastrointestinale a rallentare la sua convalescenza. Ancora da Bergamo non si potrà muovere e noi adesso dobbiamo imparare a gestire la situazione nei mesi che verranno. Certo sarà un percorso ad ostacoli. Un trapiantato è molto vulnerabile, mio figlio si dovrà sottoporre a controlli periodici, ma siamo consapevoli di avere fatto un passo importante e che adesso Thomas ha davvero un futuro. Di questi mesi voglio ricordare l’accoglienza che abbiamo ricevuto in ospedale, l’amore con cui medici e il personale hanno seguito il nostro bambino, la vicinanza di familiari e amici».

Intanto nei giorni scorsi Alberto Carletti ha ricevuto una telefonata dal servizio farmaceutico territoriale che gli chiedeva se avesse ancora necessità del latte speciale: «Gli ho risposto che no, non ne abbiamo più bisogno».

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