TRAPIANTO EPATICO, STATO DELL’ARTE

A Palermo l’eccellenza con l’equipe del Dr. de Ville de Goyet

Dalla rivista: Il Pediatra – ottobre 2017
Intervista di Stefania Somarè

Un momento dell’inaugurazione del nuovo reparto di ISMETT

II dr. Jean De Ville De Goyet è da gennaio 2017 il nuovo responsabile del Reparto di Chirurgia Addominale e Trapianto di Fegato Pediatrico di ISMETT Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione di Palermo, alloggiato in una nuova ala dell’ospedale, pensata proprio per supportare i bambini ricoverati e le loro famiglie. De Ville De Goyet è uno dei massimi esperti mondiali del settore, con oltre 500 trapianti eseguiti su bambini e una curva di sopravvivenza del 95%, curva che sale al 100% quando il trapianto è da donatore vivente. A lui abbiamo chiesto lo stato dell’arte di questo settore della trapiantologia.

Quali sono le caratteristiche peculiari del trapianto di fegato in un bambino?
Innanzitutto, dal momento che di solito i donatori sono adulti, è chiaro che per poter trapiantare un bambino è necessario sezionare il fegato e rielaborarlo per ottenere un organo sufficientemente piccolo per il ricevente e al tempo stesso completo nelle sue funzioni. Un altro aspetto fondamentale è che di norma in un bambino si propone il trapianto di fegato per malattie non ricorrenti, come la colestasi e l’atresia biliare, entrambe causa di cirrosi prematura. Data la “non ricorrenza”, il trapianto dà in molti casi la guarigione definitiva dalla malattia. E qualora si giunga al trapianto per intervenire su malattie metaboliche più complesse, il fegato nuovo può migliorare di molto la qualità di vita del piccolo paziente. In ogni caso, nel bambino è fondamentale intervenire prima possibile. Per fare un esempio, una atresia biliare riconosciuta nei primi 30 giorni di vita dà il 50% in più di possibilità di successo rispetto a una riconosciuta a 3 mesi. Il fattore tempo è fondamentale.

Immagino che i pediatri di famiglia giochino un ruolo essenziale in tal senso. È così?

Ovviamente i pediatri di famiglia hanno il compito di identificare il prima possibile i soggetti sospetti per mandarli a un centro esperto perché vengano effettuate indagini più approfondite. Per poterlo fare, devono essere formati a riconoscere alcuni sintomi. Facciamo l’esempio dell’ittero neonatale. Spesso viene banalizzato e catalogato come fisiologico. Invece è importante che il pediatra visiti il bambino, indaghi sul colore delle feci e delle urine, vada a valutare la milza. Solo così può insospettirsi rispetto al fatto che il bambino abbia una atresia biliare. In Inghilterra hanno dotato i pediatri di depliant informativi per affiancarli in questa fase di “rapida diagnosi”: sui depliant sono riportate diverse scale di colore per la pelle, le feci, le urine. E così da una “semplice” osservazione si riesce a capire chi sarebbe meglio inviare al centro esperto.
Poi, ovviamente, il pediatra di famiglia ha il compito di seguire il paziente una volta a casa, assicurandosi che segua le terapie in modo corretto e inviandolo al centro esperto se necessario. Ma soprattutto, diversamente da come andava una quindicina di anni fa, ci si deve abituare a pensare al bambino trapiantato come a un bambino e quindi curarlo come un bambino “normale” per tutte le altre patologie che lo possono colpire.

Parlando di trapianto di fegato, cosa è cambiato dal punto di vista chirurgico negli ultimi anni?
Si può dire che tutte le grandi conquiste nel trapianto di fegato, anche pediatrico, sono state fatte una quindicina di anni fa. Da allora abbiamo lavorato per migliorare gli standard chirurgici e per ottimizzare la catena che porta al “prodotto” trapianto di fegato. Ecco, quindi, che siamo diventati più bravi a individuare i bambini che hanno bisogno di un fegato nuovo, che oggi vengono operati il prima possibile, per evitare che oltre al fegato vengano compromessi anche i reni e il cuore e perché operare in uno stato di salute quasi buono è meglio che intervenire su un bambino oramai stremato dalla malattia. In sala operatoria siamo diventati sempre più abili nel mettere insieme tutte le discipline necessarie a un trapianto, dall’anestesia alla ricostruzione dei vasi sanguigni. Poi abbiamo imparato a modulare al meglio la terapia immunosoppressiva, perché sia il più leggera possibile per evitare gli effetti collaterali che comporta. È migliorata l’assistenza, la qualità dei servizi di imaging, gli infermieri sono meglio formati, sappiamo come associare donatore e ricevente. Insomma, abbiamo affinato ogni singolo step della ‘catena’ e siamo in grado di effettuare anche interventi combinati.

Si riferisce al trapianto di fegato associato a una derivazione interna dell’intestino che ha eseguito la scorsa primavera?
Esattamente. Se oggi possiamo fare un intervento del genere è perché oramai il trapianto di fegato è diventato uno standard di cura, raffinato in ogni suo passaggio. Nel caso di questo bambino affetto da colestasi intraepatica familiare progressiva di tipo I (PFIC1), abbiamo effettuato una deviazione del flusso della bile derivandola al colon, così che l’iperproduzione di bile smettesse di irritare l’intestino. Prima dell’intervento il bambino poteva mangiare solo patate e riso e poco più, perché qualsiasi altro cibo gli scatenava una grande dissenteria. Adesso sta bene e riesce a variare la propria dieta.

Cosa si può fare ancora per migliorare ulteriormente l’assistenza a quei bambini che nascono con un fegato mal funzionante?
Credo che sia molto importante creare la giusta collaborazione tra centri esperti e non esperti. In Inghilterra, per citare un modello che funziona bene, ci sono solo 3 ospedali in tutto il territorio nazionale abilitati a trattare l’atresia delle vie biliari. Ecco, credo che oggi questa sia la strada. Per interventi ad alta complessità, come sono senza dubbio i trapianti, è essenziale designare pochi centri esperti in grado di intervenire nella fase acuta e di relazionarsi con tutti gli altri attori nelle fasi successive. Ed è importante che le realtà che si trovano ad affrontare pochi casi all’anno accettino di inviare i loro pazienti a quegli stessi centri esperti. Credo che in Italia questo sia ancora un passo che non è stato fatto, o comunque non in tutti i territori.

Un’ultima domanda: qual è il vantaggio per ISMETT di avere un nuovo reparto dedicato ai piccoli ospiti?
Indubbiamente avere un’ala dell’Istituto dedicata ai bambini è fondamentale. In primis perché ora potranno essere ricoverati in una struttura pensata per loro, con colori delicati, ampie stanze adatte ad accogliere i famigliari e i visitatori, una sala giochi dove intrattenersi quando stanno bene: tutti aspetti che favoriranno la loro serenità emotiva, fattore importante nella guarigione. E poi, avere un reparto dedicato, con personale formato appositamente per lavorare con i più piccoli, permetterà di raffinare ulteriormente tutta la catena di cui si diceva prima.


Il Prof. de Ville de Goyet

Classe 1955, il dottor Jean De Ville De Goyet nasce in Belgio, dove si laurea in Medicina presso la “Catholic University of Louvain” e si specializza in Chirurgia generale alla “Saint Luc University Clinics”, per poi trasferirsi a Parigi e specializzarsi anche in Chirurgia pediatrica presso la “EnfantsMalades”. Da allora ha ‘collezionato’ parecchie esperienze internazionali, focalizzandosi sulla chirurgia addominale e sui trapianti nei bambini, lavorando presso il Children’s Hospital di Birmingham come Responsabile del dipartimento di Chirurgia Trapianti Pediatrici e Consulente di Chirurgia Pediatrica e presso la Saint Luc University Clinics di Bruxelles, dove era Responsabile del dipartimento Chirurgico di Trapianti. Nel 2007 si trasferisce in Italia, presso l’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, dove ha ricoperto prima il ruolo di Consulente chirurgico specializzato in Chirurgia Pediatrica epatobiliare e Trapianti e poi, dal 2009 al 2016, quello di Responsabile del dipartimento di Chirurgia e Centro Trapianti. Dal gennaio 2017 il dottor De Ville De Goyet è in ISMETT come Responsabile del Reparto di Chirurgia Addominale e Trapianto di Fegato Pediatrico.


ISMETT: la perla del Mediterraneo

Nato nel 1997 da una patnership internazionale tra la Regione Sicilia e l’University of Pittsburg Medical Center UPMC, ISMETT IRCCS Istituto Mediterraneo per i Trapianti e Terapie ad Alta Specializzazione di Palermo si dedica alla ricerca e alla pratica clinica di alta complessità: qui vengono infatti convogliati pazienti da altre strutture del territorio siciliano che necessitano di cure avanzate e ad alta tecnologia. Adulti e bambini. Innovazione è la parola d’ordine di questo IRCCS e non solo in ambito clinico e nella ricerca: negli anni sono tante le soluzioni gestionali sviluppate per governare al meglio il budget dell’Istituto e poter convogliare quante più risorse possibili alla cura dei suoi pazienti.

Il Pediatra – ottobre 2017 

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