Benedetta, rinata grazie al fegato donato da papà.


18-01-2023

 

LA BIMBA DI UN ANNO AFFETTA DA UNA PATOLOGIA RARA

«La nostra storia può essere utile ad altri»

 

Benedetta ha appena un anno e mezzo. Gli occhietti vispi, il suo bel sorriso, le fossette nelle guance paffute nulla fanno sospettare, oggi, del calvario che la piccola ha dovuto attraversare dalla nascita, a causa di una malattia rara chiamata atresia delle vie biliari. Benedetta conduce una vita «normale» da soli sei mesi a questa parte. E lo può fare grazie al dono ricevuto dal papà: il trapianto di fegato.

La nascita di Benedetta

Davide Franceschetti, ingegnere, e sua moglie Marika, infermiera, entrambi trentaseienni di Pescantina, erano stati avvertiti già durante l’ecografia morfologica che la loro terza figlia sarebbe nata con un non ben identificato problema al fegato.

II 24 luglio 2021 la bambina è venuta alla luce all’ospedale di Borgo Trento, per la gioia dei genitori, dei due fratellini di 6 e 4 anni, e dei nonni.

Cos’è l’atresia delle vie biliari?

Ma intanto questo «problema», dopo due mesi di frenetici approfondimenti, ha assunto un nome certo: atresia delle vie biliari, una grave malattia rara (l’incidenza è di un caso su 15-20mila nati) di origine sconosciuta, che provoca un danno irreversibile al fegato, se non si interviene tempestivamente.

Una delle funzioni importanti di quest’organo è la produzione della bile, necessaria alla digestione dei grassi. La sostanza si riversa nell’intestino attraverso piccoli dotti, le vie biliari. Ed è appunto queste che la patologia va ad atrofizzare. Un tempo non c’era scampo per i piccoli malati. Oggi invece esistono cure efficaci, purché si agisca in fretta: l’intervento chirurgico «di Kasai», in prima battuta, con cui si costruisce un drenaggio per il ripristino del fegato. E se questo non funziona, il trapianto è l’ultima istanza. Benedetta ha dovuto affrontare entrambi.

«Vogliamo aiutare altri genitori»

Ora, che per la prima volta intravedono un po’ di quiete dopo la tempesta, Davide e Marika spiegano: «Raccontiamo la nostra storia perché crediamo sia utile ad altri genitori di bimbi nati con la stessa patologia, per giungere a una corretta diagnosi il più velocemente possibile. C’è ancora poca informazione. All’inizio sembra di brancolare nel buio, rischiando di perdere tempo prezioso».

«Desideriamo anche sottolineare», aggiungono, «che la sanità italiana possiede centri di assoluta eccellenza, come quelli specializzati nelle patologie epatiche e nell’atresia biliare, cui ci siamo affidati, a Brescia e a Palermo. E poi», concludono, «vogliamo dire un grande grazie alle tante persone che ci hanno aiutati, dentro e fuori dagli ospedali, facilitando questo difficilissimo percorso».

Centri d’eccellenza riepiloga Davide: «Subito dopo la nascita, era apparso evidente che il fegato di Benedetta non funzionava, ma non era chiaro il perché. Siamo stati dirottati a Brescia, alla Chirurgia pediatrica degli Spedali Civili, diretta dal primario Daniele Alberti, esperto della malattia rara».
Prosegue: «E stato salvifico venire indirizzati al più presto a un centro altamente specializzato. Infatti l’intervento di Kasai, unico modo per tentare di conservare il fegato, va eseguito entro i primissimi mesi di vita. Benedetta aveva 63 giorni quando è stata operata».
Sempre a Brescia, tra l’altro, ha sede l’Amei (Associazione malattie epatiche infantili), che allevia le famiglie dalle incombenze collaterali: burocrazia, alloggio, fino ai buoni pasto.
Un intervento di sei ore, poi la rianimazione e tre settimane di degenza: «Benedetta si era rimessa, sembrava tutto risolto», continuano i genitori, «fino a quando, a gennaio, la malattia è ricomparsa ed è tornata a galoppare. I drenaggi non avevano più effetto. Il fegato era “andato”. I medici ci hanno messo di fronte alla necessità del trapianto per salvare nostra figlia».
Un verdetto durissimo per la famiglia Franceschetti,. pressata dalla fretta di decidere se inserire Benedetta in lista d’attesa, ma con tempi incerti, o cercare un donatore vivente fra i parenti stretti.
Davide e Marika non ci hanno pensato due volte. E ragionando sul fatto che «Benedetta, dopo l’operazione, avrebbe avuto tanto bisogno della mamma», hanno deciso che il donatore sarebbe stato il papà. Quindi c’era da individuare il centro cui rivolgersi: «Ci è stato consigliato l’Ismett di Palermo, l’Istituto mediterraneo per i trapianti e le terapie ad alta specializzazione, dove operano il luminare belga Jean de Ville de Goyet e la sua équipe».

La solidarietà

Ma il lavoro? Se Marika, grazie alla legge 104, poteva usufruire di un periodo di maternità «allungato», Davide aveva solo la scappatoia dell’aspettativa non retribuita. «Ringrazio con tutto il cuore i miei colleghi della ditta Aluk», sottolinea lui, «perché, attraverso una colletta di ferie, mi hanno regalato moltissimi giorni di astensione dal lavoro retribuita. Così ho potuto affrontare l’intervento senza caricarmi di ulteriori pensieri».

Il 7 giugno, alle 8, Davide è entrato in sala operatoria per primo: gli è stata prelevata la metà del fegato. Poi è arrivato il turno di Benedetta per ricevere il trapianto, ultimato prima di sera. Tutto è andato bene. Padre e figlia sono rimasti in terapia intensiva per quattro giorni, poi ricoverati per alcune settimane. Il decorso è stato positivo.

Benedetta con mamma Marika

«I miei genitori sono venuti a Palermo ad assistermi», spiega Davide. «Marika si occupava di Benedetta in ospedale, mentre gli altri due nostri figli sono rimasti a Verona con i nonni materni. Li sentivamo spesso per aggiornarli sulla “pancina” di Benedetta». Fra riabilitazione, terapie e controlli, i Franceschetti hanno soggiornato in Sicilia fino al 13 agosto, raggiunti verso la fine dai due fratellini maggiori. «Da allora sono passati sette mesi», affermano i genitori. «Benedetta, appena dopo il trapianto, si è trasformata. Non più magra e giallognola, ma rosea, vivace; in cinque settimane ha preso un chilo e mezzo.
È e sarà sottoposta a terapia immunosoppressiva per limitare il rischio di rigetto, ma è cresciuta molto».
«Anche io mi sono ripreso e ho ricominciato a lavorare», conclude Davide, «Stiamo lentamente conquistando l’agognata normalità che desideravamo per nostra figlia. E per tutti i bimbi che combattono una malattia rara».

Papà Davide e Benedetta finalmente sorridenti

Lorenza Costantino

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