Dall’Uruguay a Brescia per conoscere il chirurgo che l’ha salvata 14 anni fa.

09 aprile 2023

Daniele Alberti, direttore della chirurgia pediatrica al Civile, l’aveva operata ai Riuniti di Bergamo.

 

L’incontro. La giovane Martina abbraccia il professor Daniele Alberti, il chirurgo che le ha salvato la vita.

La storia

È tornata per dire grazie. Dopo quattordici anni, è ripartita dall’Uruguay per incontrare il chirurgo che nel gennaio 2009 «le ha dato una seconda possibilità», come si legge in calce al disegno del grande cuore che Martina ha donato a Daniele Alberti, direttore della Chirurgia pediatrica dell’Ospedale dei Bambini al Civile di Brescia.

Emozione pura

Difficile descrivere l’emozione dell’incontro senza avere il privilegio di provarla. Si può solo intuire, dagli sguardi, dall’abbraccio, dagli occhi lucidi di Daniele, il carico emotivo provato da due persone che si rivedono dopo tanto tempo. In realtà, è come si vedessero per la prima volta, perché all’epoca Martina aveva solo quattro anni e l’unica cosa che ricorda sono le pareti della sua camera d’ospedale. «Una seconda possibilità». Una frase che risuona, ritorna, viene ripetuta, soprattutto dai genitori Marina e Carlos che ricordano l’angoscia quando seppero che la loro piccola aveva una grave malformazione all’addome. Tanto grave che nel 2008 l’intervento chirurgico per curarla veniva effettuato solo in quattro ospedali al mondo: a Chicago, a Parigi, a Bruxelles e in Italia. «In un primo momento pensavamo di doverci rivolgere a Milano, poi siamo invece stati indirizzati dal dottor Daniele Alberti agli Spedali Riuniti di Bergamo» raccontano, la voce piena delle emozioni dei ricordi e di quelle rivissute incontrando Alberti al Civile dove dal 2011 dirige la Chirurgia pediatrica, dopo una «pausa» di dieci anni ai Riuniti di Bergamo, preceduta da un lungo percorso all’Umberto I di Brescia, allievo del compianto professor Guido Caccia.

Il chirurgo

«La vena porta di Martina era ostruita fin dalla nascita – spiega Alberti -. Con il tempo, l’ostruzione ha causato la formazione di una rete tortuosa di vasi, definita cavernoma. In sostanza, la vena porta è stata sostituita da un gruppo di vasi di diversa grandezza che sono riusciti comunque a portare il sangue al fegato, ma in quantità ridotta e generando livelli tali di ipertensione da scatenare forti e frequenti emorragie». Mamma Marina ricorda ancora quando un medico uruguaiano le comunicò la diagnosi, informandola che solo un intervento chirurgico avrebbe potuto fare la differenza tra la vita e la morte. Da quel giorno, era la metà di settembre del 2008, l’unico pensiero dei genitori era salvare la bimba. Marina, all’epoca, era in attesa di una seconda figlia, Valentina, nata all’Ospedale Sant’Orsola Fatebenefratelli di Brescia. Carlos lavorava, ma non ci pensò nemmeno un attimo a chiedere almeno un anno di aspettativa. Bisognava partire per l’Italia. Come? «Chiedemmo ad un missionario italiano se poteva aiutarci». Padre Stefano conosceva Daniela e Andrea Buratto di Ospitaletto.

La famiglia di Ospitaletto

Racconta Andrea: «Ci ha chiesto se potevamo ospitare una famiglia che aveva bisogno. Certo che sì. Da allora, siamo diventati una sola famiglia». Telefonate, richieste di aiuto, permessi di soggiorno per cure mediche. Il filo della solidarietà concreta ha messo in collegamento Uruguay, Stati Uniti e Italia, in questo caso con un via libera da Regione Lombardia. Tanto che Martina è stata operata l’11 dicembre 2008, il giorno prima del suo quarto compleanno. I genitori, ancora oggi, rivivono la grande preoccupazione di quei giorni. A ricordare è la mamma: dall’accoglienza nella famiglia di Daniela e Andrea, all’affetto dei medici e del personale tutto, all’impegno da parte della comunità nella raccolta fondi per ricomprare il biglietto di ritorno in Uruguay. Il loro era scaduto, perché alcune complicanze li avevano costretti a rinviare il rientro a casa.

 

La famiglia. L’Italia sulle braccia di Martina e dei genitori.

Il ritorno

«Avevamo promesso a Martina di venire in Italia al compimento del suo quindicesimo compleanno, la festa della Quinceañera che, nel nostro Paese, è un rito di passaggio per le ragazze che vengono festeggiate in modo solenne – raccontano Marina e Carlos -. La pandemia ci ha costretti a rinviare. Ora siamo qui. Non vedevo l’ora, tanto che la mia valigia era pronta da oltre un mese». Dopo l’intervento, la giovane non ha più avuto problemi. Sorride: «Mi hanno detto che potrei averne in caso di gravidanza, ma li risolverò venendo a partorire in Italia». La dichiarazione d’amore nei confronti del nostro Paese si rinnova di giorno in giorno. Fino a spingere Martina e i genitori a tatuare su un braccio un’Italia tricolore. E la ragazza, appassionata velista che ha gareggiato anche nelle regate panamericane, ha battezzato le sue tre imbarcazioni con i nomi di Italia 1, 2 e 3.

Le passioni

Ancora, Martina ha vissuto intensamente la «seconda possibilità» che le ha dato il chirurgo bresciano. Ora si è iscritta alla facoltà di Veterinaria frequentando in una sede universitaria a trenta chilometri da Parque del Plata, la cittadina della provincia di Canelones in cui vive. La passione per gli animali è quasi «genetica» visto che il padre, da giovane, era un gaucho, ovvero un mandriano a cavallo nelle pampas uruguaiane. Non a caso, mentre lei condivide le ragioni della sua scelta, il padre la ascolta e la osserva e fatica a nascondere il suo sconfinato orgoglio. Anche in questo caso, però, nel cuore di Martina l’Italia rimane un pensiero fisso: «Chissà se dopo la laurea potrò esercitare qui da voi». Anche Valentina, la sorella più giovane nata a Brescia in via Vittorio Emanuele quando la famiglia trepidava per le sorti della primogenita, non nasconde il suo patriottismo nei confronti del nostro tricolore. Infatti, racconta che, in occasione di una partita dei mondiali di calcio in cui giocavano le nazionali di Uruguay e Italia, ha tifato per quest’ultima rischiando qualche ritorsione da parte dei suoi compagni di classe che non hanno esattamente gradito. Del resto, impossibile dare ordini ai battiti del cuore.


 

Per curare Martina tecnica chirurgica complessa.

Nel 2009. La piccola con il padre Carlos e il chirurgo Daniele Alberti

Lo specialista

«L’intervento è risolutivo e permette di vivere una vita normale»

A diciannove mesi Martina ha avuto il primo massiccio sanguinamento dell’esofago, cui ne sono seguiti altri, fino all’ultimo episodio, quasi mortale, che ha spinto i medici uruguaiani a cercare chi potesse salvarle la vita. «Si è trattato di un intervento molto complesso, ma che ha risolto definitivamente il problema di Martina – afferma il chirurgo Alberti -. In pratica abbiamo preso la vena giugulare sinistra (la grossa vena che si trova nel collo) della bambina e l’abbiamo usata per creare una sorta di “ponte” che, scavalcando la strozzatura della vena porta, permette al sangue proveniente dall’intestino, dallo stomaco e dalla milza di entrare direttamente nel fegato». La tecnica, definita bypass meseterico portale sinistro, è stata messa a punto alla fine degli anni ’80 in Belgio dal professor De Ville con la collaborazione dello stesso Alberti. Alberti, chirurgo bresciano allievo del professor Guido Caccia, è ora direttore della Chirurgia pediatrica dell’Ospedale dei Bambini al Civile di Brescia. L’incontro con la giovane Martina lo ha molto emozionato. Ed è con altrettanta emozione che racconta la passione nei confronti del suo lavoro, in particolare nella formazione dei giovani. «La chirurgia è innanzitutto nella testa di chi la pratica perché è un modo di vivere e di concepire la realtà, le mani arrivano dopo – spiega -. È pensata per il paziente e questo significa che si deve essere in grado di leggere, interpretare e vivere la realtà. Essere un bravo chirurgo equivale ad essere anche un bravo artista. In generale, a maggior ragione quando si stanno operando bambini molto piccoli, che l’attenzione al particolare è fondamentale. Bisogna rispettare la persona che hai davanti, sempre». 

Anna Della Moretta
a.dellamoretta@giornaledibrescia.it

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